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Schede critiche |
Figure. 1986-1992
(Viana Conti)
Il soggetto della figura in Enzo Carioti non può non aprire il discorso anche su altre forme di rappresentazione; prime tra queste l’anatomia, la fotografia, il teatro. Il corpo (definito in uno scritto dell’artista segno culturale da decifrare), il volto, il movimento, vengono pensati dall’autore come punto focale di un’attenzione esterna e quindi progettati in funzione dello sguardo dello spettatore di un contesto espositivo o scenico. Queste figure virtuali o reali, comunque esteriorizzate, traducono il mondo segreto dell’artista nelle forme della sua cultura e sensibilità, guardando alle anticipazioni cubo-prospettiche di Luca Cambiaso, alle inquietudini manieriste del Pontormo, fino alla reciprocità di sguardi del Ritratto di giovane che guarda Lorenzo Lotto di Giulio Paolini, come non ha mancato di notareSandra Solimano nel catalogo della mostra antologica al Museo di Villa Croce, 1996, Genova. Fin dagli esordi, ineludibili sono anche i riferimenti agli strazi figurali del grande pittore irlandese Francis Bacon (lo sottolinea anche Guido Giubbini nel suo testo Incubi di carta e sogni di museo), alle spietate analisi in bianco e nero della fotografa americana Diane Arbus, alle quadrettature a griglia delle Composite Polaroid (1982) di David Hockney. Quanto alla scansione ottica del movimento, impossibile non ritrovarvi le esperienze crono-foto-dinamiche di E. J. Marey, di Edward Muybridge e poi futuriste del Dinamismo di un cane al guinzaglio (1912) di Giacomo Balla, de La città chesale (1914) di Umberto Boccioni, del Nudo che discende le scale (1912-1916) di Marcel Duchamp. La struttura di questa sua fase, sulla ri-produzione dell’opera d’arte, sconfina spazialmente e scenograficamente nel luogo della recita e dell’allestimento teatrale, mettendo in coincidenza, anche dal punto di vista teorico e di ricerca sperimentale, le sue opere-oggetto, quasi teatralizzazioni interiori di un’avventura esteriorizzata nell’immagine, e i suoi eventi spettacolari. Per la comprensione di questo particolare aspetto, mi sembra corretto citare due note inedite dell’artista Enzo Carioti: […] L’arte (l’oggetto) è un segreto che non fa niente altro che esserci. Ma questo segreto che tace esige me (critico-osservatore), si rivolge a me, mi chiede di parlare. L’artista è il mediatore tra il tacere dell’opera e il parlare del visitatore. E quindi la mia “follia” è riserva di significati e non significazione nascosta di significati. Il significato non è il luogo in cui l’uomo pensa, ma l’uomo è il luogo in cui il significato pensa.[…] L’insistente pratica della velatura di soggetti-oggetti con veline, plexiglass opacizzati, grigliature ottiche attraverso listelli di cartoncino, non smette di esprimere la particolare modalità del vedere e del rappresentare dell’artista, come si può dedurre da queste sue ulteriori note: […] C’è un accordo tacito fra pubblico e attore: accettano di mentire entrambi. L’attore deve avere l’illusione di essere solo, ma la certezza di essere osservato. Lo spettatore deve avere la sensazione di essere escluso alla vista dello spettacolo, ma sicuro di riuscire a vedere di nascosto.[…] di Viana Conti
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Al pari altri intellettuali, delusi dalle forme espressive correnti, Carioti aveva maturato il convincimento che la creatività dovesse essere una sorta di lucida stupenda "follia" capace di sfuggire alla massificazione messa in atto dalla società
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