formalmente all’assessore comunale alla cultura. Che allora ero io.
Fu quella l’occasione in cui, dopo aver ascoltato le loro esigenze, quasi alla fine del colloquio,
feci intendere che avevo qualcosa, voglio dire del materiale di produzione personale che poteva
interessare il gruppo. Allora gli echi della guerra che si combatteva anche sul territorio della Croazia
erano certamente sui giornali, ma tutto era guardato e sentito da lontano.
Quando raccontai la vicenda e mostrai il carattere teatralmente strutturato dell’opera di Bres
conosceva bene.
Era come se avesse trovato un collegamento ideale con contenuti di una realtà che, per quanto
lontana e mediata, doveva aver occupato le sue riflessioni e la sua sensibilità.
Raccolsero la proposta di lettura del testo che avevo tradotto e mi chiesero di fornire loro qualche
altro elemento di conoscenza.
Carioti, come era suo costume culturale, se lo cercò probabilmente anche da solo. Tant’è vero
che la volta successiva mi mostrò il saggio di Krlez Nolan mi aveva appena pubblicato), quasi a voler dire che, almeno come riferimento estetico, si
sarebbe servito anche di quelle “immagini capitali” della cultura figurativa croata degli anni ’30.
Con Roberto Trovato, assistetti a una prima e poi ad una seconda prova nei locali di Vico Mele,
nel vecchio centro, non lontano dalle Vigne, restando impressionato, a mia volta, dalla capacità
critica ed originale di lettura che Enzo aveva avuto nella sua veste di regista, proprio nella
secchezza dei tagli, nella libertà dell’ambientazione, nella esasperazione delle forme espressive
del testo originale portate ad una specie di delirio grottesco dei dialoghi e del ritmo di svolgimento.
Si arrivò cosi’ alla “recita” di Bogliasco, cioè alle due rappresentazioni che il gruppo allestì in
uno “spazio civico”, alla periferia est della città di Genova. Ci furono interrogativi, consensi, dubbi
e pigrizie di lettura, specialmente nelle recensioni. Ma era facilmente prevedibile. Non c’era
nessuna possibilità di apprezzare, in quel contesto ancora così distratto rispetto alla drammaticità
degli avvenimenti rappresentati, la coinvolgente originalità del lavoro di Carioti e dei suoi compagni
di scena.
Perciò, a più di dieci anni di distanza, sento che questo è il ricordo di un lavoro incompiuto, di
un’emozione intensa, lontana, ma non certo cancellata. E parlarne in questa occasione, mi pare
un privilegio personale.